giovedì

Sento la gioia del Natale...

Sta per arrivare Natale e noi tutti, come negli anni passati, lo aspetteremo sfogliando il Calendario dell’Avvento che, giorno per giorno, ci inviterà a riflettere sul vero significato della nascita del Bambino Gesù.
Il vero significato del Natale infatti non è soltanto fare festa e baldoria, non andare a scuola, scambiarsi doni, mangiare zeppole e panettoni, preparare presepi e addobbare abeti, giocare a tombola o a carte e tirare tardi di sera.
Ma il vero senso dell’evento religioso è anche quello di  riscoprirsi semplici e devoti, come Maria e Giuseppe; poveri e belli, come Gesù Bambino; allegri e gioiosi, come gli angeli sulla capanna;  umili e coraggiosi, come i pastori; ricchi e generosi, come i Re Magi…
Insomma,  a Natale, il presepe lo dobbiamo fare noi, ricostruendolo nei nostri cuori. E solo quando l’avremo ultimato saremo in grado di sentire davvero la solennità della festa e saremo pronti a festeggiare la gioia del Natale.
Di qui l’invito a provarci insieme…
Apriremo ogni giorno una finestra sulla nostra realtà per cercare esempi di vita che ci ricordano  la semplicità e la grandiosità dei personaggi del presepe.

Calendario dell'Avvento... anche per piccoli

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lunedì

25 dicembre - E' nato l' Amore!






Nasce L'amore 

 

                           Fredda è la notte
                     buio d'intorno
                   silente attesa  
sacro timor. 

Brilla una stella,
veglia la terra
s'apre la vita
palpita un cuor. 


  Nasce Gesù
nasce l'Amor
gli Angeli in cielo
cantano in cor. 
    E se l'Amore
regna fra noi
nei nostri cuori
vive Gesù. 


Splende la luce in tutti è pace:
il Paradiso
è in mezzo a noi. 





domenica

24 dicembre - L'amore che accoglie non ha limiti...



Gesù è l'amore che salva

Due brevi racconti per meglio capire il mistero che stiamo vivendo a conclusione di questo nostro cammino d’Avvento. 
 
Ormai l’attesa sta per finire e questa notte ci troveremo tutti vicino alla capanna attorniati dalla luce, di fronte alla verità, a cospetto del Re dei Re.
Non dobbiamo aver paura perché Lui ci accoglie così come siamo, con i nostri limiti e con le nostre mancanze.
A braccia aperte ci aspetta e non ci guarda per come siamo fisicamente ma solo per quello che siamo interiormente.
A Lui non interessa il colore della nostra pelle, la perfezione o la disarmonia del nostro corpo, la nostra età, il nostro ruolo nella società, la nostra condizione economica o altro…
Ci accoglierà con gioia come ha fatto con la pecora nera e come sempre fa e farà con le pecore smarrite:

LA PECORA NERA ALLA GROTTA DI BETLEMME



C'era una volta una pecora diversa da tutte le altre. Le pecore, si sa, sono bianche; lei invece era nera, nera come la pece.
Quando passava per i campi tutti la deridevano, perché in un gregge tutto bianco spiccava come una macchia di inchiostro su un lenzuolo bianco: «Guarda una pecora nera! Che animale originale; chi crede mai di essere? ». Anche le compagne pecore le gridavano dietro: «Pecora sbagliata, non sai che le pecore devono essere tutte uguali, tutte avvolte di bianca lana?».
La pecora nera non ne poteva più, quelle parole erano come pietre e non riusciva a digerirle.
E così decise di uscire dal gregge e andarsene sui monti, da sola: almeno là avrebbe potuto brucare in pace e riposarsi all'ombra dei pini.
Ma nemmeno in montagna trovò pace. «Che vivere è questo? Sempre da sola!», si diceva dopo che il sole tramontava e la notte arrivava.
Una sera, con la faccia tutta piena di lacrime, vide lontano una grotta illuminata da una debole luce. «Dormirò là dentro » e si mise a correre. Correva come se qualcuno la attirasse.
«Chi sei?», le domandò una voce appena fu entrata.
«Sono una pecora che nessuno vuole: una pecora nera! Mi hanno buttata fuori dei gregge».
«La stessa cosa è capitata a noi! Anche per noi non c'era posto con gli altri nell'albergo. Abbiamo dovuto ripararci qui, io Giuseppe e mia moglie Maria. Proprio qui ci è nato un bel bambino. Eccolo!».
La pecora nera era piena di gioia. Prima di tutte le altre poteva vedere il piccolo Gesù.
«Avrà freddo; lasciate che mi metta vicino per riscaldarlo!».
Maria e Giuseppe risposero con un sorriso. La pecora si avvicinò stretta stretta al bambino e lo accarezzò con la sua lana.
Gesù si svegliò e le bisbigliò nell'orecchio: «Proprio per questo sono venuto: per le pecore smarrite!».
La pecora si mise a belare di felicità. Dal cielo gli angeli intonarono il «Gloria». 

Dunque questa notte andiamo alla capanna e fermiamoci ad adorare Gesù, il figlio di Dio, come fece Benino, come fecero i pastori e i Re Magi, e andiamo tranquilli. 

L’importante è che dobbiamo recarci alla capanna come siamo e con quello che teniamo. 

Meglio sarebbe se andassimo tutti con le mani libere e il cuore pieno di gioia, vale a dire pentiti per le colpe commesse e con il proposito di  continuare il cammino per le giusta strada che Gesù stesso ci ha indicato nel Vangelo. 

Tutto il resto lo farà Lui e a Lui fiduciosi dobbiamo affidarci perché ci aiuti a realizzare il nostro progetto di vita, illuminandoci con la sua Sapienza.

IL PASTORE POVERELLO


Quando nasce Gesù, tutti corrono alla grotta per portargli qualcosa.
Cè chi porta le uova, chi una pagnotta di pane, chi del latte...
La Madonna accoglie tutti con un sorriso, mentre tiene il Bambino in braccio. Riceve i doni, uno
dopo l
altro. Ma, ad un certo momento, non ce la fa più:
son troppo pesanti!
Allora alza gli occhi per vedere se c
è qualcuno che possa darle un mano.
Là, in fondo, scorge un ragazzo che era corso, lui pure, alla grotta, ma senza niente in mano.
La Madonna lo chiama e gli dice: “Per favore tieni tu tra le braccia il mio Bambino! “.
Il ragazzo povero prende Gesù Bambino tra le braccia e se lo stringe al cuore, pieno di gioia e di
stupore.
Per poter ricevere Gesù, bisogna avere le mani libere.


Chi ha il cuore pieno di cose, non ha più posto per il Signore.


PREGHIERA

O Dio, Padre di Gesù,
fonte di ogni cosa buona,
donaci occhi limpidi
e cuore senza macchia
per vedere tutto il bene
che c'è nel mondo
e gioire dell'amore
con cui gli altri si amano.
Donaci occhi limpidi
e cuore puro
per rallegrarci dei bene
che anche noi facciamo
e dell'amore che anche noi doniamo.
Dalla ricchezza del nostro cuore
salga a te il grazie
perché tu ci sei vicino
in Gesù tuo figlio.


sabato

23 dicembre - L'incanto dello stupore davanti alla meraviglia delle meraviglie


 Accettare l’altro significa vederlo nella sua unicità soffermandosi sull’apprezzamento dei suoi punti di forza e ognuno di noi ne ha tanti.

Anziché criticare i difetti dell’altro, bisogna esaltarne le qualità e così si diventa più tolleranti e più comprensivi.

Ma per arrivare a questo l’occhio deve esercitarsi a coglier il bello e il buono che ci circonda.

Ma, troppe volte, presi dal vorticoso tran tran  giornaliero, neppure cogliamo gli aspetti incantevoli della realtà che ci circonda.

Ci lasciamo prendere più dalle cose brutte, come uno scandalo o un pettegolezzo, che non dalle azioni buone che pure accadono intorno a noi e difatti leggiamo più giornali e riviste di cronaca nera e di gossip che  non libri di sana letteratura, come evidenziano le statistiche.

Ad inizio giornata chi si ferma ad osservare l’incantevole spettacolo dell’alba? E a sera, chi nota i meravigliosi colori nel cielo del tramonto? Chi guarda oltre il buio la luce delle stelle? Chi si perde nello sguardo curioso di un bambino? Chi accoglie il timido sorriso di un amico o di un conoscente?
Chi si lascia ammaliare dai suggestivi scorci dei nostri panorami? Chi ascolta i suoni della natura come lo scroscio della pioggia, il cinguettio degli uccelli, il sibilo del vento?  

"Guardi! La bellezza - ma quella è niente - guardi la precisione, l'armonia. È così fragile! È così forte! È così esatta! È questa la Natura - l'equilibrio di forze colossali. È così ogni stella - è così che si regge ogni filo d'erba - e il Cosmo possente in equilibrio perfetto produce questo! Questa meraviglia, questo capolavoro della Natura - la grande artista". 
 (Joseph Conrad)

Oramai siamo più propensi a guardare il “brutto” e a notare le cose che non vanno che non ad ammirare le meraviglie che ci circondano.

Per il viandante che va, tutto ciò che incontra ha un significato ed è manifestazione della volontà di Dio per cui il viandante cerca sempre di dar un senso a tutto ciò che gli accade e per lui va bene il sole ma anche la pioggia, il riso ma anche il pianto, la gioia ma anche il dolore… perché tutto concorre alla realizzazione del suo progetto d’incontro con Gesù.

Detta così comprendiamo come sia sbagliato trascorrere il proprio tempo criticando e lamentandosi.
Certo non bisogna subire passivamente torti e ingiustizie, ma si reagisce con il fare, il proporre in modo costruttivo per contribuire in prima persona al miglioramento delle situazioni, ognuno nel ruolo che gli compete.

Tra pochi giorni festeggeremo la meraviglia delle meraviglie, ma siamo pronti per ammirarne la bellezza? Siamo capaci di stupirci di fronte a tanta grandezza? Siamo allenati a coglierne le finezze?

Intanto cantiamo le bellezze della natura e dei sentimenti insieme alla Pausini:

Io canto





venerdì

22 dicembre - Meno chiacchiere è più gioia...



L’umiltà, la bontà, la carità, l’apertura verso gli altri spinge il viandante all’accettazione del suo prossimo senza remore, sull’esempio di Gesù.
 
Un atteggiamento questo poco comune a noi tutti che siamo sempre pronti alla critica, al giudizio affrettato e alla lamentela nel rapporto con i nostri simili.

Il problema delle chiacchiere inutili, dei pettegolezzi, dell’intolleranza, del gossip gratuito è una vera piaga per il cristiano. 

Con questi comportamenti facciamo ritornare “la notte”.


Papa Francesco in un recente discorso ha precisato che “le chiacchiere danneggiano la qualità delle persone, danneggiano la qualità del lavoro e dell’ambiente”. E in un altro ha aggiunto che Un cristiano prima di chiacchierare deve mordersi la lingua” e poi ha continuato dicendo che “mordersi la lingua ci farà bene: la lingua si gonfia e non si può parlare, così non si possono fare chiacchiere” che “feriscono”.

Per gli approfondimenti cliccare su:

Un cristiano prima di chiacchierare deve mordersi la lingua

Meno chiacchiere inutile è più accettazione degli altri dovrebbe agevolarci il cammino verso la capanna.
Ormai siamo vicino al traguardo e un maggior impegno e un maggior autocontrollo ci aiuteranno a proseguire con più gioia e con più convinzione.  

Le riflessioni di Madre Teresa di Calcutta potranno aiutarci a ricordare qual è il vero Natale per il cristiano:

E’ Natale

E’ Natale quando si è luce da accendere, si diventa Amore da Amare, gioia da donare, pace da diffondere, vita da vivere, verità da dire…

È necessaria l’infelic
ità per capire la gioia, il dubbio per capire la verità… la morte per comprendere la vita. Perciò affronta e abbraccia la tristezza quando viene.

Non cercare la gioia nei beni di consumo, perché questo ti costerà caro.


Non preoccuparti di sapere i problemi del mondo, limitati a rispondere alle esigenze della gente.


Prometti a te stesso di parlare di bontà, bellezza, amore a ogni persona che incontri; di far sentire a tutti i tuoi amici che c’è qualcosa di grande in loro; di guardare al lato bello di ogni cosa e di lottare perché il tuo ottimismo diventi realtà.


Sii pieno di gioia, tutto sommato.


Successo o insuccesso non hanno nessun senso agli occhi di Dio, purché tu faccia quello che lui ti chiede e come te lo chiede.


Quando diffondi l’amore del Signore, sei la buona novella di Dio.

Dio vi renderà in amore tutto l’amore che avete donato o tutta la gioia e la pace che avete seminato attorno a voi, da un capo all’altro del mondo.


Fate che chiunque venga a voi se ne vada sentendosi meglio e più felice. Tutti devono vedere la bontà del vostro viso, nei vostri occhi, nel vostro sorriso.


La gioia traspare dagli occhi, si manifesta quando parliamo e camminiamo. Non può essere racchiusa dentro di noi. Trabocca.


Amiamo.. non nelle grandi ma nelle piccole cose fatte con grande amore.


C’è tanto amore in tutti gli esseri umani.


Non dobbiamo temere di manifestarlo.


Non importa quanto si dà ma quanto amore si mette nel dare!

(B.M.Teresa di Calcutta)

giovedì

21 dicembre -L'umiltà, così virtuosa e così rara.


La vera umiltà  è difficile trovarla ai nostri tempi. 

 Viviamo infatti in un periodo in cui sono “scomparsi” o sono davvero “rari” i veri intellettuali quelli che una volta venivano definiti “saggi” o “uomini di cultura” perché, avendo studiato per lungo tempo e con dedizione, avevano nozioni e conoscenze radicate e profonde e quindi si pronunciavano con cognizioni di causa e con umiltà, perché sapevano che il loro sapere era comunque sempre limitato, tanto che Socrate si vantava del fatto che lui sapeva di non sapere e in questo superava di gran lunga i “sofisti” del suo tempo.

 Oggi invece tutti credono si sapere perché è diventato più facile l’approccio all’informazione, ma non alla conoscenza che richiede più approfondimento e studio e quindi sono pochi quelli che davvero hanno la piena padronanza delle discipline e/o delle nozioni che trattano.

Un esempio lampante di “falsa cultura” ci è data dai nostri politici, messi spesso alla berlina per le corbellerie che dicono.
Spesso, nonostante la loro evidente ignoranza, coprono cariche paradossalmente incompatibili con questo loro stato di “imperizia” e mi viene in mente  in questo momento il Ministero della Pubblica Istruzione che da anni vede alternarsi alla sua guida uomini e donne, incapaci e limitati, tanto che non si riesce a capire come hanno fatto ad arrivare a quel posto.
Ma senza addentrarci in queste ostili realtà, limitiamoci ad osservare gli alterchi che si verificano quotidianamente in famiglia, per le strade o sui luoghi di lavoro.

Tutti credono di saperne più degli altri e più c’è arroganza più alta è la pseudo-cultura.
Al contrario, talvolta è proprio l’ignorante a dirla giusta, perché magari considera la sua esperienza di vita e nella sua schiettezza vede più chiaro dei “presuntuosi”.

Sull’argomento potremmo dire tanto ma servirebbe a poco.

 
Leggete cosa dice Fulton J. Sheen nel suo libro La divina avventura:

Una notte, nell’aria quieta, si alzò dalle bianche colline di Betlemme un lieve vagito.
Il mare non udì quel grido, perchè il mare era pieno della sua propria voce.
La terra non l’udì, perchè la terra era addormentata.
I grandi della terra non l’udirono, perché non potevano comprendere come un bimbo potesse essere più grande di un uomo adulto.
I Re della terra non l’udirono, perchè non potevano capacitarsi che un Re potesse nascere in una stalla.
Solo due classi di persone udirono il vagito quella notte: i Pastori ed i Saggi.
Pastori: quelli che sanno di saper nulla.
Saggi: coloro che sanno di non saper tutto.
Pastori: poveri semplici che sapevano soltanto custodire le loro pecore, che forse non sapevano neppure chi fosse il Governatore della Giudea; che non conoscevano neppure un verso di Virgilio – così noto e citato da qualsiasi Romano.
I Saggi: non Re, bensì maestri di re; uomini che sapevano leggere le stelle e narrare la storia dei loro moti; uomini dedicati, consacrati alla scoperta.
Gli uni e gli altri udirono il vagito.
I Pastori trovarono il loro Pastore, e i Saggi scoprirono la Sapienza.
E il Pastore e la Sapienza era un Bimbo nella mangiatoia.
Da quella sera fino ad oggi ci sono state soltanto due classi di persone che hanno udito il vagito di Cristo ed hanno trovato Cristo:
I molto ignoranti e i molto saggi.
Gli ignoranti: anime semplici che sanno forse soltanto sgranare il loro Rosario, e i saggi: come Pascal, Tommaso d’Aquino, Bonaventura, Mercier, Agostino, ecc. Tra questi non è mai esistito chi abbia avuta certezza di sapere.
Soltanto gli ignoranti e i saggi trovano Cristo, perché sono umili; perchè riconoscono la loro ignoranza e i limiti della conoscenza umana; e questo è essere umili.
Per entrare nella grotta della Natività bisogna chinarsi: e chinarsi con umiltà. Chi possiede l’umiltà può entrare, e troverà quello che i Pastori e i Saggi trovarono: un Bimbo steso su un letto di paglia. Tanta era la maestà che luceva dalla fronte di quel Bimbo, tanta la dignità, tanta la luce di quegli occhi, che essi non poterono tenersi dal gridare: Emanuele! Dio è con noi!”



mercoledì

20 dicembre -L’umiltà è la strada maestra per arrivare a Dio.


"Io amo la semplicità che si accompagna con l’umiltà…” dice Alda Marini
 
E di fatti la semplicità è strettamente connessa all’umiltà che è la virtù dei santi.

L'umiltà


L'umiltà è come un candido fiore,
nessun colore potrà mai appartenerle,
è come una timida alba
che pochi coglieranno,
alcun profumo le appartiene
e apparentemente
è trasparente,
eppure illumina il cuore
di chi la possiede
colorandone l'interiorità!

L’umiltà è il fondamento di tutte le virtù, e nelle anime dove essa non è presente, non vi può essere nessun’altra virtù, se non di pura apparenza. Allo stesso modo, l’umiltà è la disposizione più propria per ricevere tutti i doni celesti. È tanto necessaria per raggiungere la perfezione, e tra tutte le vie per arrivare alla perfezione la prima è l’umiltà, la seconda è l’umiltà, la terza è l’umiltà”, sostiene Sant’Agostino.


Ma se questa virtù è così importante perché oggi è così rara?
Nella nostra società competitiva sembra che non ci sia spazio per le persone umili.

L’arrivismo, la corsa a primeggiare, l’arroganza dei falsi sapienti inorgoglisce un po’ tutti,  a  scapito di questa bella virtù.
Ma approfondiamone la conoscenza leggendo la parola degli esperti:
 






Di sicuro l’umiltà è la strada maestra per arrivare a Dio.

Leggere questa fiaba dei Fratelli Grimm può aiutarci a riflettere

Umiltà e povertà portano in cielo

C'era una volta un principe che un giorno se ne andava per i campi, triste e pensieroso. Guardò il cielo, così limpido e azzurro, sospirò e disse: "Come si deve stare bene lassù!" In quel mentre scorse un vecchio mendicante che passava di là, gli rivolse la parola e domandò: "Come posso andare in cielo?" L'uomo rispose: -Con umiltà e povertà. Mettiti i miei stracci, erra sette anni per il mondo e impara a conoscerne la miseria; non prendere denaro, e quando hai fame prega le persone pietose di darti un pezzetto di pane, e ti avvicinerai al cielo-. Il principe si tolse l'abito lussuoso, indossò quello del mendicante e se ne andò per il mondo sopportando la più nera miseria. Accettava soltanto un po' di cibo, non parlava e pregava il Signore che volesse accoglierlo un giorno in cielo. Quando furono trascorsi i sette anni, tornò al castello di suo padre, ma nessuno lo riconobbe. Disse ai servi: -Andate, e dite ai miei genitori che sono tornato-. Ma i servi non gli credettero, risero e non gli badarono. Allora egli disse: -Andate, e dite ai miei fratelli di scendere: desidero tanto rivederli!-. I servi non volevano fare neppure questo, ma alla fine uno di loro andò e lo disse ai figli del re; ma questi non ci credettero e non se ne curarono. Allora egli scrisse una lettera a sua madre e le raccontò tutta la sua miseria, ma non le disse di esser suo figlio. La regina, impietosita, gli fece dare un posto nel sottoscala, e ogni giorno dei servi dovevano portargli da mangiare. Ma uno dei due era cattivo e diceva: -Che se ne fa il mendicante di questi cibi prelibati!- e se li teneva per sè‚ o li dava ai cani; e al principe, debole e consunto, non portava che acqua. L'altro invece era onesto e gli portava quel che gli davano per lui. Era poco, e tuttavia poté‚ tenerlo in vita per qualche tempo. Egli sopportava tutto con pazienza, ma s'indeboliva sempre di più. Quando la malattia si aggravò, chiese di ricevere il Viatico. Durante la messa, tutte le campane della città e dei dintorni incominciarono a suonare. Dopo la messa, il sacerdote si recò dal povero nel sottoscala, ed egli giaceva morto, con una rosa in una mano e un giglio nell'altra; e accanto a lui c'era un foglio di carta, dov'era scritta la sua storia. Quando fu sepolto, su un lato della tomba crebbe una rosa, sull'altro un giglio.

Umilmente eleviamo la nostra preghiera a Dio

Germogli d'umiltà

Fai germogliare in me, Signore, l'umiltà,
rinnego il mio Ego e ho bisogno di pietà.
Sono in cammino verso la luce del tuo volto,
purifica la mia mente dai pensieri stolti.
Dammi un cuore nuovo pieno di perdono,
rinforza la mia fede, il tuo grande dono.
Laddove muore il mio Io nasce la tua volontà,
semina in me abbondantemente
la misericordia e la bontà.
Estirpa dentro di me la zizzania del nemico
e non permettere si secchi mai fiducia in te,
come l'albero di fico
e vada via da me ogni timore,
colma lo scrigno del mio cuore
con il tuo divino amore.
Aiutami ad annunziare la Verità sui tetti
e possano riempirsi le Vie
di numero illimitato di eletti.
In te, Gesù, il mondo riconoscerà la Vita,
l'amore, la gioia e la pace infinita.
 

E per finire guardiamoci questo video e interiorizziamone il messaggio: